C’era una volta…

Potrebbe proprio cominciare così la nostra storia e, come una favola, continuare il racconto fantastico di tanti personaggi che con il loro impegno l’hanno resa tale.

Tutto incomincia per caso, all’inizio del 2000, quando il più anziano della Compagnia Teatrale, nata circa 30 anni fa, dalle ceneri di alcuni dopolavori aziendali, disse di conoscere un posto dove si poteva “fare davvero teatro.”

A noi, perennemente impegnati nella ricerca di un vero spazio teatrale, non ci sembrava possibile. Nel frattempo, come tante altre giovani realtà artistiche, ci arrangiavamo alla meglio in un vecchio garage di mio suocero, in cui parcheggiavano alcuni automobili che, all’occorrenza, dovevamo far entrare. Questo significava, ogni volta, interrompere le prove e sgombrare la scena. E ricominciare da capo.

Ci disse, il nostro amico, che si trattava di un vecchio fabbricato dell’Enel, la prima centrale di produzione di corrente elettrica della citta, ormai in disuso da anni ed in condizioni pessime e, proprio per questo motivo, facile da acquisire con un’offerta diretta e molto contenuta. La nostra gioia salì fino alle stelle.

Dopo aver visto lo stabile, anche se in condizioni veramente fatiscenti, perchè gran parte diroccato ed inaccessibile, mi convinsi, però, che un giorno quello sarebbe stato il “mio” teatro.

Dopo aver esplorato tutte le strade possibili, ufficiali ed amicali, fui costretto ad iscrivermi ad un’asta on-line nazionale. Era l’unico modo per averlo.

Ricordo che, uscendo dall’Ospedale di Paola, fui avvertito telefonicamente che l’asta stava per incominciare e che, se avessi voluto partecipare, avrei dovuto dare il codice che mi era stato assegnato ed attendere le successive chiamate.

Mi misi frettolosamente in macchina nella speranza di giungere a casa prima dell’inizio dell’asta, ma, come un parto prematuro, a metà strada arrivò la seconda chiamata: “è stata fatta la prima offerta di Euro 1000, lei cosa fa?” Come cosa faccio, partecipo!

E via con le offerte… Mi fermai quando mi informarono di essere l’aggiudicatario.

Solo allora mi resi conto di non avere un soldo in tasca, figuriamoci sul conto…

Ed allora caccia aperta al mutuo migliore, al prestito più conveniente, alla cessione del quinto, all’anticipo della liquidazione, ad ogni finanziamento possibile.

Ed ecco l’ipoteca, l’assicurazione, le commissioni e le spese, gli onorari, le marche da bollo, le telefonate, le raccomandate, le raccomandazioni… etc.

Alla fine ebbi quasi l’impressione di essere la persona più indebitata della citta. Presto, però, mi resi conto che non era  solo un’impressione. Era proprio così. E lo sono ancora oggi.

Avevo solo debiti, e le istituzioni (tutte) sembravano completamente sorde alle mie richieste di aiuto. Le visite di tanti “personaggi” si susseguirono, così come gli anni, ma il mio Teatro restava chiuso. Ed inagibile.

Un giorno, un docente dell’Accademia d’Arte Drammatica, Silvio D’amico, cosentino di nascita ma ormai romano da anni, dopo averlo visitato, mi disse: ” io al posto tuo lo pulirei alla meglio e ci porterei la Compagnia per le prove.”

Detto, fatto! Riunii i soci di buona volontà e incominciai l’opera. Ma era chiaro che non sarebbe bastato.

Non poteva bastare. Intonaci fatiscenti e cadenti, pavimento esistente a tratti, con grandi buche lunghe e profonde, piattaforme di cemento sopraelevate, come basi per pesanti apparecchiature, infissi rattoppati con tavole sovrapposte, inchiodate e sistemate a contrasto, tetto con ampi squarci e rattoppi con lamiere arrugginite, bagni inesistenti, cumuli di pietre, sassi, legname, spazzatura, materiali vari, escrementi e animali morti, pareti e divisioni sovrapposte tirate su con mattoni di vari tipi, sterpi, fili elettrici cadenti.

All’esterno, cumuli di materiali vari ricoperti di rovi, un’infinità di mattoni e tegole a pezzi. La struttura, però, sembrava integra, e la verifica statica che feci fare me lo confermò, senza dubbio alcuno.

Mi sentii rinfrancato, ma anche impotente davanti a tanto sfacelo.

Stavo per mollare tutto, quando uno dei miei giovani attori, che di mestiere fa l’operaio edile, si rese disponibile ad aiutarmi. Ed il sognò incominciò.

Poi arrivò il mio amico marocchino Busch. E grazie a lui il sogno continuò. “L’intonaco che non cade lo lasciamo?” “Si, come nuvole nel cielo.” “Il massetto del pavimento è quasi finito: mettiamo un pezzo di sale per augurio?” “Uno? Chili di sale!”

Ogni giorno inventavamo o scoprivamo insieme tecniche e sistemi per procedere nel duro, difficile e sconosciuto lavoro di ristrutturazione.

Nel frattempo, andavamo alla ricerca di materiali vari da riciclare, qualunque cosa potesse servirci: legnami, vetri, ferraglie, mattoni, mattonelle, porte. Poi mobili, sedie, tavoli, vecchie lampade, quadri, tende. Poi vestiti, scarpe, cappelli, stoffe. E tutto ciò che potesse servire ad un teatro.

Quando i teatri ufficiali buttavano o rinnovavano arredi, guardaroba e magazzini, noi eravamo lì, sempre, puntualmente.

Oggi il nostro teatro è la sintesi di alcune realtà teatrali che non esistono più o che hanno buttato al vento, con molta allegria, capitali e risorse.

Nel 2010, nonostante ci fossero ancora tanti lavori da completare, decisi di aprire il teatro. Fu una bella serata. Un successo, come si dice.

Da allora, tante altre serate, tanti spettacoli, tanti concerti. Ma anche tanto freddo. Avevo l’impressione che più il tempo passava, più il freddo aumentava. Stufe, stufette, aria calda, cappotti, coperte. Ma il freddo era sempre lì.

C’era da prendere un’altra grande decisione: rifare il tetto ed installare un impianto di riscaldamento idoneo. E via con nuovi preventitivi, finanziarie, debiti…

Comunque, ora  il tetto è terminato. È tutto nuovo. In teatro non ci piove più, finalmente. E  abbiamo anche l’impianto di riscaldamento. Il freddo è scomparso. Veramente un bel posto, il “mio” teatro.

Il Direttore Artistico dell’Officina Delle Arti

Eduardo Tarsia