L’antica farsa di Carnalivari

L’antica farsa di Carnalivari è un lavoro molto particolare.

Scenicamente ricalca la desueta rappresentazione popolare delle antiche farse carnascialesche, rappresentate spontaneamente nelle piazze delle nostre città, intorno agli anni cinquanta, dai giovani studenti dell’epoca, con la tecnica della commedia dell’arte.

I protagonisti sono le storiche figure di questi tre giorni di festa che rappresentano, da una parte, il popolo con re carnevale e la sua famiglia e, dall’altra, le tre colonne del potere costituito con la chiesa, la legge e la medicina.

Nei secoli trascorsi, questa era una festa di massima trasgressione, durante la quale il popolo poteva sovvertire le rigide leggi del potere, deridendo i potenti, dissacrando i luoghi di culto e, principalmente, ingozzarsi con succulenti cibarie offerte dai ricchi e dai benestanti dell’epoca.

Erano gli unici giorni in cui il popolo poteva godere di tali straordinari ed eccezionali concessioni.

Questa è un’antica ed inossidabile legge del potere costituito nei confronti del popolo: dare, sporadicamente, l’illusione di “cuntari” e di “s’abbuttari”.

Poi tutto torna come sempre.

La nostra trasposizione scenica, realizzata nel pieno rispetto della tradizione popolare, aggiunge però l’elemento allegorico mediante il quale, la stessa farsa, si trasforma in mera rappresentazione dell’eterno ed inattaccabile potere, palese o occulto, come in un disegno cosmico e preordinato, di soggiogare il popolo alle leggi del più forte.

Ed ecco che si concretizza il gran burattinaio che gestisce le sorti di tutti e fa muovere sulla scena della vita l’intera umanità.

Egli tira i fili di tutti i personaggi e delle loro vicende umane, ne stabilisce vita e morte, attraversa la storia dell’intera umanità con sommo e gaudio piacere, sempre in nome dell’eterno conflitto tra il bene e il male, tra il ricco e il povero, tra la vita e la morte, tra il potere e l’obbedienza.

Tutto con l’unica accortezza che gli conviene: lasciare in vita la propria vittima, il popolo, per continuare all’infinito il gran gioco del potere.